Ti va di ballare?

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In questi giorni di forzato “coprifuoco”, ho avuto l’occasione di sfogliare i molti racconti che avevo scritto nel 2014, anno in cui ho cominciato a leggere i libri di Raymond Carver e guardare i film di Quentin Tarantino. Da questo connubio, dopo anni di “invecchiamento in botti di rovere”, è nato “Ti va di ballare?”, sono dodici storie di “quotidiana alienazione”, vicende che si possono leggere quotidianamente sui giornali e a cui il nostro occhio non vi presta più attenzione.

A volte però bisognerebbe soffermarsi e decifrare tra le righe tutta la disperazione che si cela tra gli spazi bianchi.
Il risultato è nelle pagine di queste “storie brevi” da leggere una a una tutte d’un fiato, sono il ritratto di una normalità fatta di attimi, che aprono il baratro al delirio della follia.

Cosa succede quando s’incontrano le psicosi dei racconti di Raymond Carver e la didattica sanguinolenta di Quentin Tarantino? Nasce “ti va di ballare?” Sono dodici storie di “ordinaria follia”, istantanee in bianco e nero della quotidianità che ci circonda e della quale ci siamo nostro malgrado assuefatti. Ne viene fuori il ritratto di una società patriarcale ancorata ancora suo malgrado al mito del maschio dominante, dove l’uomo però è proiettato in una nuova dimensione e perde il contatto con la realtà, ed è la donna con le sue paure, le sue fragilità e le sue nevrosi a prendere il sopravvento, ad afferrare il timone del comando e a dimostrare che davanti alle avversità sia sempre lei la più forte.

Per chi volesse leggerlo, il libro è disponibile su Amazon sia in formato Kindle che cartaceo all”indirizzo: http://urly.it/39xbr

Libera il fascista ignorante che è in noi.

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Era già da un po’ di tempo che leggendo i vari post sparsi qua e la come guano di piccone per i vari “social network”, volevo scrivere qualcosa a riguardo.

Quindi non se ne abbiano a male coloro che leggeranno il mio soliloquio, ma se così non fosse, pazienza, di cazzate e insulti se ne ricevono tanti nel corso della vita che uno più e uno meno davvero non fa differenza.

Il punto in buona sostanza è questo:

Questa pandemia o come la si voglia chiamare ha liberato il “fascista ignorante” che è in ognuno di noi”, e questo a prescindere dalla propria idea politica.

Perché “fascista ignorante”?

Come vorrei sottolineare non è tanto il termine “fascista” che putrebbe dare fastidio, avrei potuto usare tanto“comunista” quanto “nazista” che forse suonava meglio,  quanto il termine “ignorante” che in se racchiude già il suo significato.

Ignorante significa “non sapere”, ma che in questo caso vuol dire “non voler informarsi”, rimanere nelle proprie convinzioni, certi di possedere l’unica verità e negare e non volere ascoltare altre voci, che hanno tutto il diritto di essere ascoltate e detto questo…

Siamo tutti bravi e buoni, ma se qualcuno sfora ed esce dal “proprio” seminato ecco che il “fascista ignorante” che è latente in ognuno si erige e sentenzia.

Lo abbiamo visto proprio in questi giorni, membri irreprensibili della famiglia accanto, gente comune, professionisti “istruiti”, ma anche politici di tutte le risme accanirsi con toni a volte accesi, ma il più delle volte invocando addirittura la pena di morte per coloro che non “seguivano le regole”, in questo caso lo stare a casa.
Infuriarsi contro “i foresti” divenuti per l’occasione peggio dei “migranti”, perché non se se stanno a casa loro e vengono ad infettare le nostre riviere.
Adirarsi addirittura con i medici e gli infermieri arrivando a minacciarli come untori del nuovo virus (Tgcom24).

Così per il bene comune (io direi più per egoismo o per farsi grandi aglio occhi degli altri), si diventa delle spie fino a denunciare il vicino perché è andato tre volte al supermercato, o perché ha già portato a passo il cane una volta.

Questi sono coloro chi invocavo lo stato di polizia, più rigore, adesso ci vorrebbe “lui”, ma perché non facciamo come in India che picchiano chi trasgredisce le regole, e basta usciamo dell’Europa che ci odia.

Forse adesso ci rendiamo conto cosa vuol dire non avere la libertà (ed è solo ristretta al non poter uscire e per un limitato periodo di tempo), cosa faremmo se venisse estesa a tutto e per sempre?

Cosa proveremmo a essere continuamente controllati da applicazioni e videocamere sparse dappertutto che monitorano ogni vostro movimento, e che sanno non solo chi siamo, ma anche chi frequentiamo, dove andiamo e il nostro “credito sociale” e non dite “male non fare paura non avere”, che non è vero.

Chi grida al complotto, chi incolpa il governo, chi l’Europa che ci odia, chi i comunisti, chi i fascisti, chi gli stranieri, chi i rettiliani, che i cristiani e i mussulmani, chi gli ebrei e gli americani e chi più ne ha più ne metta

Ma se non sappiamo convivere in pace, in fondo forse è solo colpa nostra.

La Mercificazione della Violenza

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Uno Sguardo Critico sulla Società Contemporanea

Photo by Sides Imagery on Pexels.com

In un mondo dove le immagini di conflitti e disordini sono diventate quasi quotidiane, è essenziale fermarsi e riflettere sul significato più profondo di ciò che vediamo. Il mio ultimo libro, “La mercificazione della violenza”, si immerge in questa riflessione, esplorando come la violenza sia stata trasformata in un prodotto commerciale, spesso sfruttato per profitto.

La violenza, una volta considerata un’aberrazione sociale, è ora un fenomeno che viene manipolato e venduto. Da film e videogiochi a notizie sensazionalistiche e discorsi politici, la violenza è diventata una merce che viene consumata quotidianamente dal pubblico.

Nel libro, analizzo come diverse istituzioni e interessi abbiano contribuito a questo processo di mercificazione. Attraverso esempi concreti e una disamina critica, metto in luce le radici, le manifestazioni e le conseguenze di questa tendenza preoccupante.

La mercificazione della violenza ha implicazioni profonde che vanno oltre la semplice esposizione mediatica. Affronto le questioni etiche e culturali che emergono quando la violenza viene trattata come un prodotto, invitando i lettori a considerare l’impatto su individui e comunità.

Questo libro non è solo un’analisi; è un appello a riconoscere e contrastare la mercificazione della violenza. È un invito a una riflessione collettiva e a un’azione consapevole per promuovere un cambiamento positivo nella nostra società.

“La mercificazione della violenza” è più di un libro; è un movimento verso la consapevolezza e la responsabilità. Vi invito a leggerlo, a discuterne e a unirvi a me in questa importante conversazione, un’opera che getta uno sguardo penetrante sul fenomeno della violenza nella società contemporanea, esaminandone le radici, le manifestazioni e le conseguenze. Attraverso una disamina critica, mi propongo di mettere in luce come la violenza sia diventata un prodotto commerciale, manipolato e fruttato a fini di lucro da varie istituzioni e interessi. Tuttavia, l’obiettivo principale del libro è quello di denunciare questa mercificazione e di promuovere una riflessione profonda sulle sue implicazioni sociali, culturali ed etiche.

Questo è un libro provocatorio e stimolante che sfida le convenzioni e invita alla riflessione critica. Attraverso una narrazione avvincente e argomentazioni persuasive, l’autore offre una visione chiara e incisiva di un problema urgente e attuale, offrendo speranza e ispirazione per un futuro migliore.

L’Industria dell’Orrore

L’orrore ha trovato un mercato, e quel mercato siamo noi. Ogni clic, ogni visualizzazione, alimenta un ciclo vorticoso di domanda e offerta di violenza.

L’orrore ha trovato un mercato, e quel mercato siamo noi. Ogni clic, ogni visualizzazione, alimenta un ciclo vorticoso di domanda e offerta di violenza. “
Viviamo in un’era in cui le immagini di violenza non sono solo diffuse, ma spesso messe in scena con una cura quasi cinematografica. Questo spettacolo, servito quotidianamente sui nostri schermi, non è gratuito. Dietro di esso, ci sono meccanismi di profitto che plasmano la nostra percezione della realtà…”

Questo passaggio mette in discussione la normalizzazione della violenza nei media e invita i lettori a riflettere su chi beneficia della sua rappresentazione.

La cultura del dolore

Essa contribuisce alla desensibilizzazione verso la violenza e alla perdita del rispetto per il valore della vita umana. Questo si manifesta in molteplici forme e ha profonde implicazioni per la nostra società e il nostro mondo.
Una delle manifestazioni più evidenti della cultura del dolore è la sua presenza diffusa nei media e nella cultura popolare. Film, serie TV, videogiochi e altri media spesso ritraggono la violenza in modo sensazionalistico e disinibito, con scene esplicite di torture, omicidi e guerre”.

La problematica della desensibilizzazione della società descritta, si concentra nei confronti della violenza e sulla perdita di rispetto per il valore della vita umana. Questo fenomeno si manifesta in diverse forme e ha impatti significativi sulla società e sul mondo intero.

In particolare, il testo evidenzia come la “cultura del dolore” sia onnipresente nei media e nella cultura popolare, con riferimento specifico a come film, serie TV, videogiochi e altri media ritraggano la violenza in maniera sensazionalistica e senza freni. Le scene di torture, omicidi e guerre vengono presentate in modo esplicito, contribuendo a quella che viene descritta come una normalizzazione della violenza, che a sua volta porta a una minore sensibilità e attenzione verso le gravi conseguenze che comporta nella realtà.
Per esplorare ulteriormente queste tematiche e scoprire come possiamo rispondere come società, leggi il libro completo “La mercificazione della violenza”.

Estetica e Ideologia nella pittura nell’Italia tra le Due Guerre.

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La pittura tra le due guerre mondiali in Italia è un argomento affascinante che riflette i cambiamenti culturali e politici del periodo.

Dopo la prima guerra mondiale, molti artisti italiani si sentirono chiamati a creare nuove forme d’espressione artistica per il Novecento. Questo periodo vide una revisione del ruolo dell’artista e un ritorno all’ordine, o “rappel à l’ordre”, che si manifestò già durante gli anni della grande guerra. Il movimento fu una risposta alla crisi delle avanguardie storiche, come il Cubismo e il Futurismo, e cercava di ristabilire i canoni classici nell’arte. Artisti come Carlo Carrà e Giorgio De Chirico furono tra i principali sostenitori di questa nuova classicità di forme.

La pittura murale e la scultura monumentale, insieme all’architettura, furono le espressioni più significative di questo periodo, spesso indagate all’interno degli edifici pubblici. Durante il regime fascista, l’arte di guerra assunse anche una dimensione propagandistica, con il regime che utilizzava il linguaggio classicista degli artisti a fini di consenso.

L’arte di regime: Specchio e Servo della Storia tra Fascismo e Nazismo.

Durante il ventennio fascista (1922-1943), l’arte ha avuto un ruolo centrale nella propaganda del regime, che cercava di collegarsi alla grandezza dell’Impero Romano e di promuovere i valori del fascismo attraverso diverse forme artistiche.

Benito Mussolini e il regime fascista imposero una serie di regole ufficiali per l’arte, che doveva servire come strumento di propaganda e richiamare l’idea di “romanità” che il regime voleva promuovere. L’arte ufficiale del fascismo cercava di conciliare l’antico con il moderno, influenzata dall’arte classica, dal modernismo e da movimenti di avanguardia come il futurismo e il razionalismo. In questo periodo, si assistette a una produzione artistica e architettonica notevole, con numerose rassegne nazionali che riunivano artisti di valore. L’arte veniva utilizzata per creare una rappresentazione visiva del regime, sia nella sfera pubblica che nelle case private, e per promuovere l’ideologia fascista, incluso il culto della personalità di Mussolini.

Alcuni artisti, come Mario Sironi, furono molto vicini agli ambienti del regime fascista e ebbero un ruolo attivo nel mondo della cultura e dell’arte ufficiali, organizzando mostre ed eventi in Italia e contribuendo alla fondazione del gruppo Novecento. Tuttavia, è importante notare che non tutti gli artisti e le opere d’arte del periodo erano strettamente legati al sostegno politico al regime. Ci furono anche idee e gruppi che assunsero un valore di opposizione ideologica, come il gruppo Corrente di Treccani, alcuni dei cui artisti si schierarono a sinistra delle neoavanguardie negli anni Quaranta e Cinquanta. Questo periodo dell’arte italiana è ancora oggetto di studio e discussione tra gli esperti, e rappresenta un capitolo significativo nella storia culturale dell’Italia.

Una svastica sull’arte

L’arte del regime nazista, che governò la Germania dal 1933 al 1945, è stata caratterizzata da un forte controllo ideologico e dalla censura di quelle forme d’arte considerate non allineate con i valori nazisti. Adolf Hitler, che aveva aspirazioni artistiche, impose la sua visione estetica personale, promuovendo un’arte che riflettesse l’ideale razziale ariano e che fosse comprensibile all’uomo medio.

L’arte ufficiale nazista doveva essere romantica, eroica e classicista, ispirata all’arte greca e romana. I temi popolari includevano il Volk (il popolo) al lavoro nei campi, un ritorno alle virtù semplici della Heimat (l’amore per la patria), le virtù virili della lotta nazionalsocialista e l’elogio delle attività femminili tradizionali simboleggiate dalla frase Kinder, Küche, Kirche (bambini, cucina, chiesa). Al contrario, l’arte moderna e le avanguardie europee furono etichettate come “Entartete Kunst” (arte degenerata) e furono oggetto di una famigerata campagna di denigrazione. Nel 1937, a Monaco di Baviera, si tenne una mostra intitolata “Entartete Kunst”, dove l’arte moderna veniva esposta in modo caotico e accompagnata da etichette diffamatorie. Questa mostra aveva lo scopo di educare il pubblico a riconoscere e deridere l’arte moderna, mentre contemporaneamente si celebrava l’arte approvata dal regime nella “Große Deutsche Kunstausstellung” (Grande mostra d’arte tedesca). L’arte degenerata includeva opere di artisti come Wassily Kandinsky, Emil Nolde, Franz Marc, Ernst Ludwig Kirchner e molti altri, che furono perseguitati, le loro opere sequestrate e spesso distrutte. Il regime nazista utilizzò l’arte come strumento per promuovere la sua ideologia, per consolidare il potere e per attuare una pulizia culturale che rifiutava la diversità e la libertà di espressione artistica.

Dopo la caduta del regime nazista, la percezione delle opere d’arte create durante quel periodo ha subito un notevole cambiamento. Molte di queste opere, una volta celebrate come esempi di ideali estetici e razziali nazisti, sono state poi viste come simboli di oppressione e propaganda.
Nel dopoguerra, l’arte nazista è stata spesso associata alla brutalità e all’ideologia del regime, portando a un rifiuto generale di queste opere nella società. In alcuni casi, le opere sono state distrutte o rimosse dalla vista pubblica. Tuttavia, alcune sono state conservate in archivi o musei, dove sono studiate come documenti storici che riflettono la cultura e la politica di quel tempo.

Inoltre, il processo di denazificazione ha cercato di eliminare l’influenza nazista in tutti gli aspetti della vita tedesca, compresa l’arte. Questo ha portato a un riesame critico delle opere e degli artisti del periodo, con un’attenzione particolare a quelli che avevano collaborato attivamente con il regime. La discussione sull’arte nazista continua fino a oggi, con dibattiti su come dovrebbe essere presentata e interpretata. Alcuni sostengono che queste opere dovrebbero essere esposte per educare il pubblico sulla storia e prevenire la ripetizione degli errori del passato, mentre altri credono che esporle possa rischiare di glorificare o normalizzare l’ideologia nazista. La percezione dell’arte nazista è passata da una celebrazione durante il regime a una condanna nel dopoguerra, con un’attuale comprensione più sfumata che riconosce il suo valore storico e didattico, pur rimanendo critica nei confronti del suo contesto e del suo significato originale.

Ritratti dell’Anima: Esplorando la Violenza nella Pittura

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Nel vasto panorama della storia dell’arte, la violenza è stata una forza inquietante che ha trovato espressione attraverso pennelli e pigmenti, catturando l’essenza della condizione umana in modi tanto crudi quanto sottili. Attraverso secoli di evoluzione artistica, pittori di ogni epoca hanno affrontato il tema della violenza, creando opere che non solo documentano gli eventi violenti, ma che spesso rivelano i complessi strati emotivi e culturali che circondano tali episodi.

Dalle scene bibliche di guerra e conflitto alle raffigurazioni delle battaglie storiche e alle allegorie dei tormenti interiori, la pittura è stata uno specchio delle tensioni, dei conflitti e delle tragedie dell’umanità. Artisti come Goya con le sue “Pitture Nere” che raffigurano l’orrore della guerra e Bacon con le sue distorte e violente rappresentazioni dell’angoscia umana, hanno offerto visioni strazianti e provocatorie della violenza nell’arte.

Tuttavia, la violenza nella pittura non si limita solo alle rappresentazioni esplicite di battaglie e conflitti. Anche nelle nature morte di Caravaggio o nei ritratti psicologicamente carichi di Francis Bacon, la violenza può essere sottile e metaforica, manifestandosi attraverso l’uso del colore, della composizione e del simbolismo.

In questa serie di post, esploreremo una selezione di opere d’arte che affrontano il tema della violenza in modi diversi, esaminando come gli artisti abbiano dato voce alle loro ossessioni, alle loro paure e alle loro visioni del mondo attraverso il mezzo della pittura. Attraverso questo viaggio nell’animo umano dipinto su tela, cercheremo di comprendere meglio il ruolo della violenza nell’arte e il suo impatto duraturo sulla nostra percezione della realtà.

Continua a seguirmi per esplorare con noi il potente mondo delle immagini che catturano non solo la violenza fisica, ma anche quella dell’anima umana.

“Il Turista e il Ligure: Un’Analisi Della Convivenza Turistica”

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“Guarda, c’è questa cosa interessante negli esseri umani, proprio quella cosa che ci fa sembrare un po’ selvaggi, anche quando siamo in giro come turisti. Sai, siamo stati in giro per millenni, da quando eravamo scimmie sugli alberi fino a quando ci siamo stabiliti in città enormi. Ma sai cosa? In qualche angolo nascosto di noi c’è ancora un po’ di quella selvaticità ancestrale, ed è proprio quando diventiamo turisti che emerge.

Il turista, soprattutto quando è fuori dal suo ambiente, mostra un lato di sé che sembra non voler seguire le regole universali di buona educazione e rispetto. Si comporta come se il fatto di essere in vacanza gli desse il permesso di fare tutto ciò che gli passa per la testa. Urinare ovunque, fare chiasso a qualsiasi ora del giorno o della notte, sembra che tutto sia concesso. E poi si lamenta di tutto, confrontando costantemente il suo paese d’origine con il posto in cui è in visita.

Povero turista, specialmente se viene in Liguria con l’intenzione di fare come gli pare. Qui i liguri hanno un carattere aspro, proprio come le scogliere che si tuffano in mare. Il loro umore cambia come il vento e parlano un dialetto ruvido e antico, testimone di secoli di storia. I liguri sono come gli ulivi che crescono in terreni difficili e regalano i loro frutti solo a chi sa come raccoglierli. Per gli altri, sono come un mare infinito.

Cos’è un turista per un ligure? È colui che rompe la monotonia del tempo, che spezza la routine di giorni tutti uguali. Come diceva quella canzone di Conte, Genova sembra avere giorni tutti uguali, eppure è questa costante, questa unicità nel rimanere invariata nel tempo, che rende il ligure davvero speciale.”

Nuove frontiere musicali: l’incontro tra l’atmosfera mitteleuropea decadente e il ritmo dance moderno

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Oggi vorrei presentarvi l’artista di punta della scena elettronica sperimentale: Anna Nakamura. Con la sua visione unica e innovativa, ha trasformato il classico brano “Lili Marleen” in una trascinante esperienza dance, portando l’ascoltatore in un nuovo mondo sonoro.

Anna Nakamura è una musicista elettronica sperimentale di origini giapponesi, nata dalla fantasia di Vassallo Roberto (suo mentore e produttore) attualmente residente a Genova. È rinomata per la sua abilità nel creare paesaggi sonori complessi, che spaziano dalla minimal techno all’ambient, fino alla musica industriale. Il suo stile distintivo è caratterizzato da un suono freddo ed elettronico, che evoca un senso di distacco e una profonda immersione nella dimensione sonora.

Il remix di “Lili Marleen” di Anna Nakamura rappresenta un’audace rivisitazione di un brano iconico, originariamente interpretato da Lale Andersen durante la Seconda Guerra Mondiale. Questo brano, intriso di atmosfere mitteleuropee decadenti e struggenti, è stato portato a una nuova vita attraverso l’approccio artistico di Nakamura.

Attraverso l’uso sapiente di strumenti elettronici, sintetizzatori e ritmi pulsanti, Anna Nakamura ha trasformato “Lili Marleen” in un brano dance avvolgente, che cattura l’essenza delle atmosfere originali e le fonde con elementi moderni. Le melodie nostalgiche si intrecciano con le linee di basso potenti e gli intricati pattern ritmici, creando un equilibrio unico tra passato e presente.

Ascoltando il remix di “Lili Marleen” di Anna Nakamura, ci si immerge in una nuova esperienza auditiva. Le emozioni che emergono dall’incontro tra la melodia intrisa di tristezza e il ritmo incalzante sono potenti e coinvolgenti. Ci si ritrova trasportati in un universo sonoro che unisce le radici storiche del brano originale con un’estetica sonora moderna ed energica.

Questo remix rappresenta anche un ponte tra generazioni e culture diverse. Anna Nakamura riesce a rendere omaggio alla tradizione musicale del passato, reinterpretandola e reinventandola per un pubblico contemporaneo. Il risultato è una fusione affascinante di elementi musicali che attingono dal passato e proiettano l’ascoltatore verso il futuro.

In conclusione, Anna Nakamura è un’artista visionaria e innovativa che ha saputo creare un’esperienza unica con il suo remix di “Lili Marleen”. Attraverso l’utilizzo sapiente di suoni elettronici e ritmi incalzanti, è riuscita a trasportare le atmosfere mitteleuropee decadenti in uno stile dance moderno, mantenendo allo stesso tempo un’aura fredda ed elettronica. L’ascolto di questo brano rappresenta un’esperienza auditiva coinvolgente e avvincente, che ci invita a scoprire nuove frontiere musicali e a esplorare le infinite possibilità dell’elettronica sperimentale.

Anuska e altre storie

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La passione di scrivere e raccontare è un vizio atavico, insito nell’essere umano sin dai primordi, da quando i nostri avi incidevano sulle rivide pareti delle caverne le loro storie quotidiane, questi rudimentali “blog” si sono protratti sino a noi nelle loro più svariate forme.

Da visiva a scritta e poi entrambe sino ai giorni nostri, sono stati il nostro specchio.
In tutto questo tempo l’umanità si è raccontata e ognuno che abbia calpestato questo suolo, ha lasciato almeno un segno del suo passare e a modo suo una sua verità.

Se qualcuno si fosse preso la briga di raccogliere tutte queste silenti verità, oggi probabilmente dovremmo rileggere la storia del mondo in ben altra maniera e forse anche noi avremmo una diversa visione della realtà.

Tutto ciò mi porta a raccontare una storia, un progetto diviso in più parti, una parte testuale e una parte riservata alle immagini, che raccontano una dell’altra anche se non necessariamente connesse. La storia a farla breve è ambientata in quello che potrebbe essere il nostro futuro prossimo tra dieci o venti anni. In un mondo sovrappopolato e in balia delle guerre, dove il viavai degli esuli e dei profughi ha portato al collasso delle grandi città, ora trasformate in enormi dormitori, o se vogliamo vederla con gli occhi della nostra protagonista, in enormi prigioni, dove chi vi è rinchiuso, rischia la vita giorno dopo giorno, in pratica un’enorme gabbia per ratti, dove il sovrappopolamento, porterà all’auto estinzione dei suoi abitanti.

Anuska è la protagonista di questa storia, esule causa la guerra dalla sua terra assieme alla sua famiglia e come molti di lei rinchiusa in una di queste “trappole per topi”, le sue vicissitudini le scriverà in un blog e in questo contenitore, descriverà la sua quotidianità, i suoi pensieri, le sue paure, i dubbi, gli incontri, il tutto senza un filo conduttore vero e proprio, così come viene.

Il blog lo si può leggere a questo indirizzo: https://agroedolce5.wordpress.com/

Le immagini qui: https://www.instagram.com/anuskanakamura/

P.S. Per le immagini mi sono rivolto all’intelligenza artificiale, che sotto le mie descrizioni, ha disegnato i protagonisti, le scenografie, piazzato le luci, il resto sono pezzi di altri miei racconti scritti in epoche diverse, che stanno trovando in questo blog una nuova vita.

Non escludo di inserire altro pescando da un archivio personale pieno di più un ventennio di materiale.

Buona lettura e buona riflessione.

Quando la guerra arriverà

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Avete mai fatto un giro in un info point per i rifugiati?


È un giorno d’inverno e fa freddo, ho salito la scalinata che da via XX Settembre che porta alla chiesa di Santo Stefano, dove si trova un info point per chi scappa dalla guerra in Ucraina, fuori sul piazzale oltre agli addetti della protezione civile, solo molte mamme e bambini, ragazzini e ragazze, nessun uomo. Sono coloro che scappano dalla guerra, di chi da un giorno all’altro ha dovuto abbandonare tutto, per salvarsi la pelle.

Una lunga coda in paziente attesa, ognuno aspetta il suo turno per “registrarsi”, per ricevere informazioni, per dare i propri dati, un aiuto, un te caldo, una parola di conforto nella propria lingua.

Più in la i bambini giocano sul piazzale della chiesa, chi disegna, chi canta, chi si gode il sole e pensare che sino a pochi giorni fa, questi stessi bambini si crogiolavano sotto lo stesso sole, ma in un altro paese, giocavano e andavano a scuola, poi… Le bombe, la guerra, l’invasione, tutto stravolto, la vita stravolta, e scappare lasciandosi alla spalle tutta una vita e un futuro è forse l’unica cosa da fare.

E poi?
Dove andare? Cosa fare?

Le stesse domande che non sono cambiate nel corso di tutte le guerre precedenti, così come nulla è cambiato da allora, la fuga, l’incertezza, la paura, il lasciarsi tutto dietro le spalle, la miseria, l’odio, la morte, il registrarsi a un info point… Aspettare.


Tornando a casa, ho sentito un vecchio uralre; belin che paese stiamo diventando, se diamo accoglienza a tutti, dove andremo a finire.


Popolo senza memoria, che preferisce dimenticare e ripetere gli stessi errori, piuttosto che ricordarsi di un passato per non ripetere gli stessi sbagli in un futuro, che potrebbe essere anche adesso, e comunque non farebbe male visitare un “info point”, perché ciò che è capitato agli altri, potrebbe accadere anche a noi.

La guerra.

Quante guerre ci sono al mondo?
E chi lo sa,
una qua e cento più in là.

Quella vicina è sul giornale, come se fosse una cosa normale,

quelle distanti dai nostri divani, non hanno un posto nei quotidiani.

Quella vicina fa troppa paura e si corre ai ripari senza misura,

quelle disperse negli antri continenti, ai nostri occhi son differenti.

Quella vicina ci tocca il cuore, di quelle distanti non sappiamo neanche chi muore.

Eppure la guerra è sempre uguale, sia in Europa che in Africa centrale,
la guerra non ha colore ne bandiera e uccide tutti in egual maniera.

Chi fugge ha il sentore di un futuro senza colore,
lasciando il cuore al di la della frontiera sperando che ritorni la primavera,

così che un giorno possa tornare e la libertà poter assaporare.

Ma la libertà non è una parola che riempie la bocca, quando le corde del cuore tocca,
è assurdo pensare che per la “lei”si debba morire, e a crepare comunque sono sempre gli innocenti, mentre la guerra la decidono solo i potenti.

Quante guerre ci sono al mondo?
E chi lo sa
una qua e cento più in là.
Quello che so guardandomi attorno e che sorgerà un altro giorno, se sarà d’inverno o d’estate chissà, ma di sicuro quello il più bel giorno sarà.